venerdì 16 ottobre 2015

A scuola da Epitteto


Nicopoli d'Epiro, Grecia, anno 108 d.C.
Arriano di Nicomedia è arrivato fino qui dalla sua città natale in Anatolia, nell'odierna Turchia, per ascoltare le lezioni del filosofo Epitteto. Mi immagino che questa lezione avvenga all'aperto, seduti su semplici sedili di legno o di pietra, in una giornata di sole con il cielo azzurro della Grecia, l'aria limpida, il clima secco e un po' ventoso. Mi immagino intorno il paesaggio tipico mediterraneo, le ginestre, una grande agave, e più lontano il mare. Mi immagino lo stato d'animo di Arriano venuto da lontano per ascoltare le parole di un maestro in grado di produrre una trasformazione interiore in chi lo ascoltava. Immagino di essere Arriano, con un'attenzione piena e concentrata per le parole del maestro e con un senso profondo di gratitudine per trovarsi lì in quel momento ad ascoltare conoscenze che liberano.
Davanti a lui il maestro, Epitteto, un uomo che come i grandi filosofi del mondo antico non era un erudito o un professore, ma un maestro di vita, ovvero un maestro che aveva realizzato e che incarnava il contenuto dei suoi insegnamenti e che invitava i suoi allievi a fare altrettanto, così che la filosofia fosse non una disciplina accanto a tante altre, ma arte di vivere. Il maestro, Epitteto, un uomo liberato due volte. Liberato in quanto, nato schiavo, fu in seguito affrancato dalla servitù legale, e liberato per la seconda volta dalla schiavitù dei pensieri, delle emozioni e dei giudizi grazie alla filosofia. Un uomo in grado di dominare tutto ciò che dipendeva da lui e di accettare serenamente e attivamente tutto ciò che non dipendeva da lui, come indicava già da secoli la dottrina stoica.
Proprio qui Arriano poté ascoltare dalla voce di Epitteto quell'insegnamento fondamentale, indispensabile per potersi inoltrare in un cammino di conoscenza e trasformazione di se stessi che rappresenta la chiave della libertà umana. Arriano ascoltò più o meno queste parole: “Ciò che turba gli uomini non sono le cose, ma i giudizi che essi formulano sulle cose. Pertanto, quando incontriamo delle difficoltà o siamo turbati o tristi, non attribuiamone la responsabilità a un altro, ma a noi stessi, cioè ai nostri giudizi.”
Questo riportare a se stessi la responsabilità dei propri stati emotivi è un atto che dà potere ed è il primo passo di un percorso di crescita interiore. L'opposto è il darne la colpa alle circostanze o alle altre persone: di fatto in questo modo rinunciamo al nostro potere e ci consegniamo alle circostanze, quindi al caso. Rinunciamo a guidare la nostra vita, ci autolimitiamo e ci autoconfiniamo in una posizione di impotenza: se si verifica la tal condizione, se gli altri si comportano in un certo modo, questo causerà in me una certa reazione. Questo apparente nesso di causa-effetto non riconosce quel fattore fondamentale che è costituito dalla nostra interpretazione o visione dell'evento, dai nostri pensieri e giudizi a riguardo: sono proprio questi ultimi, e non l'evento in se stesso, a causare in noi gli stati negativi in cui cadiamo.
Spesso tuttavia ci fa comodo scaricare la responsabilità sulle circostanze e sulle altre persone; ci fa comodo lamentarci perché in questo modo soddisfiamo una serie di vantaggi secondari come darsi ragione, sentirsi nel giusto, manipolare, autocommiserarsi, ottenere attenzione e così via; e perché questa libertà, che consegue all'assunzione di responsabilità, in fondo può far paura. Ma a parte questi vantaggi dobbiamo riconoscere che lamentarsi perché le circostanze esterne non sono come vorremmo che fossero è in fin dei conti un atto di stupidità che non riconosce la volontà del tutto in ogni cosa che accade, quello che gli stoici chiamavano Destino e i cristiani Volontà di Dio. Come facciamo a sapere qual'è la volontà di Dio? Guardiamo quello che accade, quella è la volontà di Dio. Possiamo accettarla, accoglierla, aderirvi (“sia fatta la tua volontà”), oppure resistere, lottare e cercare di andare in direzione opposta, ma alla fine, per quanto recalcitranti, saremmo comunque costretti a seguirla.
Ciò che accade non è in nostro potere, non lo decidiamo noi, semplicemente accade. Ma i nostri giudizi sono in nostro potere, li abbiamo formulati noi, certo in base alla nostra storia e alle nostre esperienze, ma come come li abbiamo costruiti, possiamo anche imparare a osservarli prima e a modificarli o lasciarli andare poi. Le cose resteranno le stesse, le circostanze non cambieranno, né cambieranno le altre persone ma noi saremo profondamente cambiati, e anche se continueremo a vivere la nostra vita e a fare apparentemente le stesse cose, sarà come se vivessimo in un altro mondo.
Questo l'insegnamento fondamentale di Epitteto che Arriano ascoltò quel giorno, e mentre ascoltava prendeva appunti che poi trascrisse, e grazie a lui queste parole sono arrivare fino a noi, perché Epitteto, come Socrate e come il Buddha, non scrisse nulla.




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