Cosa significa conoscere se
stessi? Sapete che questa frase era scritta sul frontone del tempio
di Apollo a Delfi? “Gnothi seauton” per i greci antichi era una
massima di importanza fondamentale. Ma perché dovremmo conoscerci? E
chi è questo se stessi che dovremmo conoscere? Intanto possiamo
chiederci: è uno o sono molti? Se fosse uno sarebbe relativamente
facile.
Invece quando vogliamo fare
una dieta, andare a correre, meditare ogni giorno, cambiare lavoro,
mangiare più sano, a volte non ci riusciamo, perché? Perché siamo
molti, e non tutti al nostro interno vogliono le stesse cose: una
parte di me vuole andare a correre, un'altra parte è pigra e vuole
riposare. Al livello della personalità non c'è un me stesso, ma ce
ne sono tanti, e spesso non sono d'accordo.
Questo è il motivo per cui ogni nostra
decisione, ogni nostro “si”, ogni nostro impegno è una
percentuale. Immaginate che quando siamo di fronte a una scelta
qualsiasi, ci sia al nostro interno una votazione. Mia moglie mi
chiede: “Ivan, mi aiuti a montare questo armadio?”. C'è una
parte di me che vuole, una che non vuole, una che è stanca una che è
pigra, una che vuole compiacere, una che si sente sfruttata, una
parte accomodante che cerca di far andare bene le cose. Tutte queste
parti votano. Mettiamo che vinca il si con il 60% dei voti. A quel
punto io dirò di “si”, ma la minoranza, quel 40% che ha votato
no, non è che si arrende: si farà sentire in altri modi, cercherà
di boicottare, di fare ostruzionismo. Allora potrei iniziare ad esempio a
montare l'armadio con il muso lungo, oppure dire di si ma subito
iniziare a procrastinare “aspetta solo un attimo che faccio
un'ultima cosa, che controllo le mail, che metto a posto la
scrivania,...” tutte espressioni delle parti di me che hanno votato
no. Mia moglie a questo punto inizierà a scocciarsi e finiremo per
litigare.
Molto spesso, visto che non siamo uno,
rispondiamo, decidiamo, prendiamo impegni mentre siamo identificati
con la parte di noi che in quel momento per vari motivi è sul
proscenio della nostra vita psichica. Poi quella parte che si è presa
l'impegno va dietro le quinte e al suo posto ne arriva un'altra che
non ha nessuna intenzione di rispettare un impegno che a tutti gli
effetti non si è presa.
Schizofrenia? Si, ma niente di
patologico: normale schizofrenia della vita quotidiana.
Un
esercizio utile è quello di fare un inventario
delle proprie parti interne, dare
un nome ad ognuna di esse, iniziare
ad osservarle, a comprendere le
loro motivazioni. Ad
esempio potremmo scoprire dentro di noi personaggi come il
rispettabile, il bastian contrario, il saggio formatore, il buono,
l'insopportabile pidocchio, il sarcastico saputello, il formalista,
ognuno con un suo modo di pensare, una sua visione del mondo, un repertorio preciso di emozioni, atteggiamenti e stati fisici.
Conoscere se stessi in questo caso diventa conoscere un buon numero di queste parti di noi. E poi riconoscerle, sorprenderle nella vita quotidiana, accorgersi quando escono allo scoperto, quando tendiamo a identificarci con loro, dimenticando tutto il resto che siamo. Solo questa semplice mossa ci dona un enorme margine di libertà, ci permette di diventare registi della nostra vita, anzichè attori inconsapevoli.
Conoscere se stessi in questo caso diventa conoscere un buon numero di queste parti di noi. E poi riconoscerle, sorprenderle nella vita quotidiana, accorgersi quando escono allo scoperto, quando tendiamo a identificarci con loro, dimenticando tutto il resto che siamo. Solo questa semplice mossa ci dona un enorme margine di libertà, ci permette di diventare registi della nostra vita, anzichè attori inconsapevoli.
Adesso vi parlo un po' dell'inconscio,
perché il conosci te stesso comprende sia la conoscenza degli
aspetti consci, cioè di quello che sappiamo di noi stessi, sia degli
aspetti inconsci. E come facciamo a conoscere l'inconscio, cioè
quello che non sappiamo di noi? Appunto, non possiamo, almeno
finché resta inconscio. Ma fortunatamente i confini tra conscio e
inconscio sono permeabili.
Anche se Freud ha scoperto l'inconscio
più di cento anni fa, e prima di lui non sono mancati poeti e
filosofi che ne hanno parlato, noi per lo più ci comportiamo come se
l'inconscio non esistesse. Ingenuamente siamo portati a pensare di
poter conoscere tutto di noi con la mente, il ragionamento, la
memoria. Ma non è così. Pensate che qualcuno
afferma che il conscio è solo il 5% della nostra psiche, e la
prospettiva mi sembra già ottimistica. Come se la nostra psiche
fosse un grande palazzo a più piani e noi conoscessimo solo
l'ingresso.
Vi racconto una storia. Sapete cos'è un comando post-ipnotico? È un ordine
che l'ipnotista dà al paziente mentre quest'ultimo si trova sotto ipnosi. Quando
il paziente si risveglia si ritrova a fare quello che gli ha ordinato
l'ipnotista, senza ovviamente ricordare nulla.
Sigmund Freud a poco più di 30 anni
andò a studiare l'ipnosi dal dottor Bernheim a Nancy, ed assistette
a un esperimento che lo impressionò molto. Il dottore ordinò a un
paziente in ipnosi che appena uscito dalla stanza avrebbe aperto un
ombrello. Quindi risvegliò il soggetto che, senza
ricordare niente, usci dalla stanza e aprì il primo ombrello che
trovò. Il dottore gli chiese allora perché avesse aperto un
ombrello. Sapete cosa rispose il paziente?
Non potendo sapere il vero motivo per
cui lo faceva, perché il comando ipnotico era stato dato a livello
inconscio, non disse semplicemente “non lo so”, ma disse qualcosa
come “volevo vedere se funzionava”, oppure “volevo vedere di
che colore era”, ovvero trovò una motivazione plausibile per la
sua azione. Plausibile ma completamente inventata.
Cosa ci fa vedere questa storia? Che
siamo mossi da forze che non conosciamo, e poi razionalizziamo il
nostro comportamento con spiegazioni arbitrarie. Ignoriamo le vere
motivazioni per cui facciamo quello che facciamo.
Ma lasciamo stare l'ipnosi, e
occupiamoci dell'ipnosi quotidiana in cui tutti siamo più o meno
immersi. Forse ogni tanto qualcuno di noi si arrabbia con la moglie,
il marito o i figli? Ci arrabbiamo naturalmente per qualcosa che lui
o lei dice o fa. E se qualcuno ci chiedesse dopo un po' perché ci
siamo arrabbiati noi saremmo in grado di dire una serie di motivi per
cui questo è successo: “lui ha fatto così, lui ha detto così, mi
ha guardato così,...”
Ma se andiamo un po' più in profondità
possiamo vedere che ci siamo arrabbiati perché quello che ha detto o
fatto la persona è andato a toccare un tasto dolente, come una
piccola ferita che abbiamo dentro che deriva dalla nostra storia
personale. Magari un'altra persona nella stessa situazione avrebbe
reagito in tutt'altro modo.
Io ad esempio mi sono accorto di avere
una ferita di rispetto e quando percepisco che mia figlia mi manca di
rispetto, ovvero quando interpreto il comportamento di mia figlia
come una mancanza di rispetto nei miei confronti, mi arrabbio. Quella
ferita poi se guardo indietro la ritrovo nella mia storia, e posso
individuare una parte di me che ha assoluto bisogno di essere
rispettata nel modo in cui lei stessa ha deciso.
Questo è l'inconscio, finché non mi
sono guardato dentro, finché non conosco me stesso anche negli
aspetti che restano più nascosti, resto inconsapevole delle forze
che mi muovono. Se tu mi chiedi perché mi sono arrabbiato con mia
figlia, io ti dico che mi sono arrabbiato perché non ha messo a
posto la stanza, o perché i bambini devono imparare l'educazione,
ecc., non ti dico che mi sono arrabbiato perché ho una ferita di
rispetto. Come nella storia dell'ombrello del
dottor Bernheim, sono mosso da forze sconosciute, in balia di forze
interne che non so nemmeno di avere, che non conosco, eppure mi
muovono, mi dominano, mentre io sono convinto che il mio
comportamento risponda a scelte coscienti e razionali.
Conoscere se
stessi allora significa conoscere la propria molteplicità interna ed
arrivare pian piano ad illuminare anche le zone inconsce della
psiche. Questa conoscenza ci dona una libertà fondamentale, che non
troveremo mai se ci rivolgiamo unicamente fuori di noi: la
possibilità di dominare, dirigere e utilizzare le nostre parti
interne e le loro energie. Diventare, e questo può essere il
compito di una vita, padroni di noi stessi e non farci più guidare
dai vari io frammentati che ci abitano.